Con “De André e il Genoa“ comincia oggi una nuova rubrica targata 11contro11, che vorrebbe restare in bilico fra il mondo del pallone e quello ad esso (apparentemente) estraneo del cantautorato italiano. L’intento è certamente ambizioso, e chi scrive lo sa bene. Descrivere e delimitare le (enormi) figure di cui tratteremo nei nostri appuntamenti non è operazione semplice, e neppure pretende di avere l’esaustività della scrittura saggistica. Non si tratterà perciò di narrare con completezza e coerenza la poetica o la biografia di questi “giganti” della musica italiana, bensì piuttosto di fornire suggestioni. Cercherò di esplorare alcuni collegamenti, gli sporadici (e non) contatti fra i cantautori e le loro squadre del cuore. Infatti, se il tifo costituisce una sorta di «fede laica» (parola di Fabrizio De André) che ci accompagna fin da bambini, perché mai l’enorme sensibilità di questi personaggi dovrebbe esserne priva?
Il mezzo principale di cui mi avvarrò saranno a volte i testi degli stessi cantautori. Proverò poi a ripercorrere i ricordi delle persone a loro vicine, importanti testimonianze dirette della loro passione calcistica. Infine, riporterò alcuni aneddoti più o meno veritieri che si tramandano e che sono riuscito a scovare qua e là. Per il primo appuntamento di “Calcio & Cantautori”, tenterò di indagare la storia di “un amore così lungo” come è stato quello fra De André ed il “suo” Genoa.
De André e Genova: il legame fra il cantautore e la sua terra
C’è poco da stupirsi se Genova compare in moltissime canzoni di Faber. Nato e cresciuto fra le vie della “Città vecchia” ed una seconda residenza nell’astigiano, il cantautore non la utilizza solo come sfondo per le sue storie. Anzi: uno dei fattori che più contraddistingue la sua intera opera è l’ossessiva ricerca di collocare la città stessa al centro del racconto. Fra prostitute, marinai e straccioni, De André ne tratteggia i particolari più derelitti. Non è tutto: all’apice della sua opera, giungerà persino a dedicarle un intero album in dialetto genovese, “Creuza de mä”. La canzone che dà ad esso il nome è un vero e proprio inno per i tifosi genoani, che la cantano in occasione di ogni partita casalinga.
Mentre Faber nasce a Pegli, a Marassi gioca l’antenata della Samp
È il quartiere periferico di Pegli che dà i natali a Fabrizio il 18 febbraio 1940. Lo stesso giorno, nella borgata assai più centrale di Marassi, sta giocando l’A.C. Liguria, antenata dell’attuale Sampdoria. il Genoa di William Garbutt, invece, gioca in trasferta a Novara la 20ª giornata di Serie A. L’allenatore inglese è alla sua seconda esperienza in rossoblù, con cui ha vinto già tre scudetti nelle stagioni 1914/15, 1922/23 e 1923/24. Dopo un inizio di campionato un po’ claudicante, il Genoa, trascinato dalle reti di Ugo Conti e Bruno Arcari, è riuscito a risalire la classifica, arrivando in testa con il Bologna.
Ebbene, quasi come per uno strano gioco del destino, la nascita del “Cantore degli ultimi” coincide con la sconfitta per 3-1 ad opera del modesto Novara, in lotta per non retrocedere. In realtà, i fatti non andarono proprio così: il 18 febbraio, infatti, il Genoa vinse 0-1 la partita, che però dovette essere rigiocata in seguito perché il Grifone batté il calcio d’inizio sia del primo che del secondo tempo. Dopo questo k.o. arriveranno altre 5 sconfitte in 6 partite per i rossoblù. L’unica eccezione fu proprio la vittoria per 2-0 nel Derby della Lanterna. Per di più, il Genoa non riuscirà mai più a vincere il campionato di Serie A: un destino di sconfitte dal sapore veramente deandreiano.
L’amore per gli sconfitti porta Fabrizio alla passione per i rossoblù
La passione di Faber per i colori rossoblù non è indotta dagli amici, né appresa dai famigliari, come avviene nella maggior parte dei casi. Il padre e il fratello maggiore sono ferventi tifosi del Grande Torino, che fino al 1949 – anno del tragico incidente di Superga – domina incontrastato lo scenario italiano. Il 5 gennaio 1947 i due decidono dunque di portare il piccolo Fabrizio al “L. Ferraris” per assistere a Genoa-Torino. L’intento è anche quello di “iniziarlo” alla fede granata. La partita finisce 2-3 in favore degli ospiti, ma le speranze dei famigliari di Faber vengono subito amaramente disilluse: Fabrizio sceglie gli sconfitti, i genoani. Ecco il ricordo dello stesso De André in merito alla simpatica vicenda:
«Mio padre mi portò allo stadio Marassi per una partita, Genoa-Torino. Mi ricordo che quasi subito, forse per una sorta di antagonismo precoce, mi scoprii genoano contro mio padre e mio fratello, che erano accesi tifosi torinisti. […] Mi pare che il Genoa avesse anche perso e in questo senso anticipai una mia tendenza che si sarebbe poi rivelata frequentando le scuole medie: ho sempre avuto un debole per i troiani e una forte antipatia verso gli achei e in questo sono confortato dall’opinione che anche il vecchio Omero la pensasse così, malgrado fosse probabilmente greco».
De André e Paolo Villaggio: amici nella vita, rivali a Marassi
Siamo ormai negli anni del dopoguerra, e Genova sta per conoscere un impetuoso sviluppo industriale, anch’esso ben presente in alcuni capolavori futuri di Faber. Il giovane Fabrizio conosce nel frattempo Paolo Villaggio, di 7 anni più grande. Con lui stringe un’amicizia destinata a durare per tutta la vita, nonché a produrre due brani quali “Il fannullone” e “Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers”. Molto si è scritto sul rapporto fra questi due illustri genovesi, ma forse ancora poco riguardo alla rivalità calcistica che li divideva. De André, come detto, è un fiero genoano: Villaggio, dal canto suo, era indissolubilmente legato ai colori blucerchiati della neonata Sampdoria.
Chissà quante volte i due si saranno canzonati reciprocamente in occasione dei derby, dei (pochi) successi e delle (molte) disgrazie sportive delle rispettive squadre. Fabrizio, sin da bambino, annota sui suoi diari le formazioni rossoblù (reali e immaginarie), corredate da classifiche, gol fatti e subiti, conteggio degli scontri diretti, quote salvezza… Paolo Villaggio, in un’intervista rilasciata nel 2013 a Tonino Cagnucci (al cui libro, “Il Grifone Fragile”, rimando), non ha voluto parlare della fede genoana dell’amico, limitandosi faziosamente a ricordare le formazioni blucerchiate di quando era bambino. Lo stesso dualismo Genoa-Samp si ritroverà più tardi anche nella collaborazione con un altro artista della musica italiana, il genovese Ivano Fossati.
La passione calcistica “anomala” di De André per il Genoa
De André cresce, e, pur non essendo uno studente modello, tenta di laurearsi in giurisprudenza per diventare avvocato, per poi abbandonare gli studi. La sua è una vita sregolata, fin dalla gioventù legata ai vizi del fumo, dell’alcol, dell’alzarsi tardi e del bighellonare con gli amici per Genova. Nonostante la sua passione viscerale per i colori rossoblù, però, pare che si sia recato pochissimo allo stadio.
Il polistrumentista Mauro Pagani ha collaborato con Faber a partire dal 1981 per 14 anni componendo album quali “Creuza de mä” e “Le Nuvole”. In una recente intervista, egli ha detto che: «Fabrizio non andava allo stadio, perché per lui era complicato, poi era pigro. Però l’ho visto molte volte guardare alla televisione le partite del Genoa con la sciarpa e il cappellino. Poi il rosso e il blu erano i suoi colori, quando poteva si vestiva di rosso e di blu, erano la sua bandiera».
È facile intuire come mai fosse complicato per lui recarsi allo stadio. La fine degli anni ’60 coincide con i primi successi di De André, che, dopo l’esordio nel 1961 con “Nuvole Barocche” e “E fu la notte”, comincia ad incidere i suoi primi capolavori. Fra questi, non si possono non citare “La guerra di Piero” e “La canzone di Marinella”. Quest’ultima, grazie alla meravigliosa interpretazione di Mina nel 1967, darà al cantautore la notorietà meritata, rendendolo un “personaggio pubblico” a tutti gli effetti.
De André e il Genoa: gli aneddoti più celebri
Un tifoso «troppo coinvolto» per scrivere l’inno del Genoa
Con la maturità artistica e il successo di De André diventa anche più complicato per noi tracciare un percorso organico della sua passione calcistica. Ci restano solo alcuni aneddoti, come quello secondo il quale De André rifiutò sempre di scrivere l’inno del Genoa. La motivazione la addusse egli stesso, affermando: «Per fare canzoni bisogna conservare un certo distacco verso quello che si scrive e col Genoa proprio non si può». È d’accordo con lui lo stesso Pagani che nell’intervista citata commentò: «È un discorso che ha senso, ma poi scrivere l’inno di una squadra è veramente difficile perché riuscire ad essere innamorati senza essere retorici è un’impresa quasi impossibile, infatti molti inni delle squadre sono inascoltabili detto tra noi, poi si cantano e va bene così, però sia la letteratura che la musica hanno dato di meglio in altri campi».
La “malattia” rossoblù
Un altro episodio piuttosto gustoso è ricordato da Massimo Prati in “I racconti del Grifo”: «Nella tappa genovese della tournée di “Le Nuvole”, Fabrizio De Andrè iniziò il concerto dicendo: “Io ho una malattia“. Ora, un tale esordio avrebbe inquietato qualsiasi uditorio, quindi è facile immaginare il silenzio glaciale del pubblico di Genova, venuto per ascoltare il concerto. Ma, subito dopo, il grande cantautore tranquillizzò tutti tirando fuori una sciarpa del Genoa, e chiarendo così di quale malattia si trattasse. Se penso a quella sua appassionata dichiarazione d’amore per il nostro amato Grifone, mi viene voglia di provare a ricordare con che pezzo aveva iniziato il concerto. Chissà, forse era stata la canzone genovese dal titolo “A Çimma”, che inizia con degli splendidi versi poetici, tra i più belli che l’umanità abbia mai creato: “Ti sveglierai sull’indaco del mattino, che la luce ha un piede in terra e l’altro in mare”».
Lo stesso legame fra il cantautore e i colori della sua terra è ribadito ancora dal Pagani: «La sua idea era che lui apparteneva a Genova, e anche dal punto di vista calcistico il suo tifo per il Genoa era profondo, con grande trasporto. Il lunedì se il Genoa aveva perso bisognava stargli alla larga. Già aveva un carattere non facile, ma se il Genoa aveva perso era anche peggio. In altri anni ci fu una retrocessione credo, quindi era difficile».
Il tifo calcistico come «fede laica»
«Quella per la squadra è una fede laica, che nasce da un bisogno infantile». Questo pensiero, espresso direttamente da De André, potrebbe riassumere in pochi caratteri tutto il contenuto del nostro articolo. Non esistono spiegazioni razionali, non servono retorici giri di parole, per dimostrare agli altri, alla gente, il proprio amore. L’amore è una cosa intima, un libero gioco che si attua fra l’innamorato e l’oggetto del suo amore. Non va dimostrato: si esprime nei fatti. Un esempio? Nei tragici mesi del suo rapimento da parte dell’anonima sequestri sarda, nel 1979, uno dei pensieri fissi e rincuoranti di De André era spesso il Genoa.
Dori Ghezzi, moglie in seconde nozze del cantautore, ha affermato: «In prigionia praticamente non potevamo fare nulla, non ci davano la possibilità né di leggere i giornali, né di ascoltare radio, perché non ci arrivassero notizie che in qualche modo potessero riguardarci, però se il Genoa vinceva o perdeva quello ce lo dicevano. Perché lo facevano? Perché lo chiedeva Fabrizio! Gli chiedeva: “Ditemi che ha fatto il Genoa”».
E ancora, non è certo un caso se Faber, ironico e passionale fino alla fine, espresse nel proprio testamento il desiderio di essere cremato con un naso da clown e una sola sciarpa: quella rossoblù con il Grifone del Genoa.