Con la consueta rubrica “Diamo i numeri”, targata 11contro11, si rivivono le gesta di tanti calciatori del passato e del presente. Nello specifico, dopo i 9 del Torino, nell’appuntamento odierno si analizzeranno i più importanti numeri 3 dell’Inter. Prima di procedere, tuttavia, occorre una breve premessa. Questo, insieme al 4 di Javier Zanetti, è uno dei numeri di maglia che la società nerazzurra ha ritirato dalla propria numerazione ufficiale. Un gesto simbolico per ricordare un grande del nostro calcio come Giacinto Facchetti, bandiera della Nazionale e del club meneghino, in seguito alla sua dipartita, nel 2006, dopo una lunga lotta contro un male incurabile.
Pur avendo indossato, saltuariamente, anche la numero 2 e la numero 5, la 3 è a tutti gli effetti la maglia che ha contraddistinto il “Cipe” nell’arco della propria carriera. E anche nei successi nerazzurri più recenti, successivi alla sua scomparsa, c’è stato un po’ di Facchetti, grazie a Esteban Cambiasso. Il centrocampista argentino, infatti, non ha mai nascosto il legame speciale con l’ex presidente nerazzurro. Tanto che, in occasione della vittoria di vari Scudetti e della Champions League, “el Cuchu” ha sempre indossato la sua maglia, non facendolo mai scomparire dalla memoria collettiva di vecchi e nuovi supporters nerazzurri.
I numeri 3 dell’Inter prima del 1995
Prima di Giacinto Facchetti, i numeri 3 dell’Inter riconosciuti ufficialmente sono stati sei. Bruno Padulazzi, Giovanni Giacomazzi, Attilio Giovannini, Guido Vincenzi, Ambrogio Valadé e Guido Fongaro, infatti, hanno indossato questo numero a cavallo degli anni ’50. In seguito, per ben 18 anni, ha avuto come padrone la sopracitata ex bandiera nerazzurra, capace di vincere 4 Scudetti, una Coppa Italia, 2 Coppe dei Campioni e 2 Coppe Intercontinentali. Nel mentre, pochi altri hanno potuto indossarla fugacemente, e non erano certo i cosiddetti ultimi arrivati. I vari Enea Masiero, Nevio Scala, Mario Giubertoni e Graziano Bini, infatti, hanno avuto l’onore di indossare il numero 3 in quei pochi momenti di indisponibilità di Facchetti. E a questi si aggiunge un altro monumento della storia del club.
Pur essendo stato più spesso un numero 4, come imposto dalla numerazione per il suo ruolo di libero, Gabriele Oriali è stato anche un numero grande numero 3 della storia dell’Inter. Da giocatore, in particolare, il campione del mondo di Spagna 1982 ha collezionato 277 presenze condite da 33 gol. “Una vita da mediano”, come cantava Luciano Ligabue citandolo esplicitamente nel suo pezzo, fatta di sacrificio e fatica in mezzo al campo. Alla fine avrà anche vinto solo 2 Scudetti e 2 Coppe Italia, ma tutti i tifosi lo hanno sempre ricordato con affetto per lo spirito battagliero. Affetto aumentato anche nei suoi trascorsi da dirigente, spesso e volentieri vincenti, come anche la scorsa stagione. Come noto, in estate le strade si sono nuovamente separate, ma ciò non significa che un domani non possano nuovamente intrecciarsi.
Brehme e Baresi nei ruggenti anni ’80
Negli anni ’80 i numeri 3 dell’Inter si sono alternati tra titolari inamovibili e comprimari. Tra questi si ricordano sicuramente Gianpiero Marini e Andrea Mandorlini, oltreché un altro habitué del numero 2 come capitan Giuseppe Bergomi. Questa decade, tuttavia, ha visto come assoluti protagonisti col numero 3 sulle spalle Giuseppe Baresi e Andreas Brehme. Entrambi hanno militato nella compagine meneghina vincendo, insieme, sotto la guida di Giovanni Trapattoni, il campionato e la Supercoppa Italiana del 1989, nonché la Coppa Uefa del 1991 con Ottavio Bianchi in panchina.
Il maggiore dei fratelli Baresi ha sempre avuto l’Inter nel proprio DNA, vincendo, in precedenza, anche un altro Scudetto e 2 Coppe Italia, per poi non abbandonare il mondo nerazzurro anche in veste di allenatore del settore giovanile, vice di José Mourinho, collaboratore tecnico e talent scout. Il terzino, invece, ha costituito, insieme ai connazionali Lothar Matthaus e Jurgen Klinsmann, lo zoccolo duro tedesco della succitata rosa dei record allenata dal “Trap”, nonché il Mondiale di Italia 1990. Di certo, numeri alla mano, si può dire con discreta certezza che Brehme sia stato l’ultimo numero 3 di alto livello della storia nerazzurra.
La crisi degli anni ’90, con le dovute eccezioni
Dopo Andreas Brehme, i numeri 3 alternatisi all’Inter sono stati diversi ma mai totalmente all’altezza della maglia indossata. Negli anni ’90, infatti, l’Inter vince ben 3 Coppe Uefa, nel 1994 e nel 1998 oltre a quella già citata del 1991. Tuttavia, escluse queste eccezioni, le stagioni non sono mai soddisfacenti, anzi, quasi sempre deludenti. Prima del 1995, anno dell’introduzione della numerazione personalizzata, vestono il numero 3 i vari Luigi De Agostini, Paolo Tramezzani e i fratelli Antonio e Massimo Paganin. In seguito tocca a Igor Shalimov, protagonista al Foggia di Zdenek Zeman, molto meno in nerazzurro, nonché Angelo Orlando, Davide Fontolan e Mirko Conte.
I primi numeri 3 personalizzati della storia nerazzurra sono state altre meteore come Gianluca Festa, Felice Centofanti, Andrea Seno, Alessandro Pistone e Massimo Tarantino. Discorso diverso, invece, per Francesco Colonnese, difensore di ottima qualità che dapprima ha vinto la Coppa Uefa del 1998 con la numero 33 sulle spalle, per poi decidere di passare alla 3, in annate decisamente più sfortunate. Dopo la parentesi Fabio Macellari è stata poi la volta di Mohamed Kallon. L’attaccante della Sierra Leone giunge all’ombra della Madonnina nel 1995, e dopo un lungo peregrinare entra a far parte della rosa nerazzurra nel 2001.
Nel triennio vissuto agli ordini di Hector Cuper prima e Alberto Zaccheroni poi, Kallon riesce a brillare solo nella sua prima stagione. Per lui, in totale 15 reti in 40 partite giocate, in cui sfiora lo Scudetto nel famigerato 5 maggio 2002 e giunge fino alla semifinale di Coppa Uefa. Le altre due stagioni, complici infortuni e scelte tecniche, rappresentano un periodo di transizione prima dell’addio definitivo al nostro Paese.
L’ultimo dei numeri 3 dell’Inter: Nicolas Burdisso
Tra il 2004 e il 2006, veste il numero 3 nerazzurro per l’ultima volta nella storia un giovane Nicolas Burdisso. Difensore argentino giunto dal Boca Juniors, nelle prime stagioni, sotto la guida di Roberto Mancini, totalizza 41 presenze tra le varie competizioni, vincendo 2 Coppe Italia, una Supercoppa Italiana e lo Scudetto assegnato a tavolino in seguito ai fatti di Calciopoli. È l’anno del trionfo dell’Italia in Germania. Come già visto, è l’anno della scomparsa di Giacinto Facchetti, che induce il club a ritirare per sempre la maglia numero 3 in suo onore. Ma è anche l’anno della svolta definitiva nerazzurra.
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Sulle spalle di Burdisso compare il numero 16, e vi resta per altre tre stagioni, prima del suo trasferimento alla Roma. La squadra acquista progressivamente una mentalità sempre più vincente, e anche l’argentino gode di questi benefici. Nei 3 Scudetti e l’altra Supercoppa Italiana vinta c’è anche il suo zampino, con ben 8 reti all’attivo. Di queste, ben 6 le realizza solo nel 2006-2007, concedendosi anche una doppietta contro la Sampdoria in Coppa Italia. Inoltre, sugella per sempre il proprio nome nella storia nerazzurra realizzando il gol del definitivo 2-0 alla Reggina, nel giorno della festa del centenario del club. Tanti episodi, svariati e ricchi di storie di persone e di una squadra che tutto è meno che banale.