Guus Hiddink dà l’addio al calcio: un viaggio emozionante

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Arriva dall’estero una notizia importante, riguardante una vecchia conoscenza del mondo del pallone, nonché la storia della Nazionale italiana. L’allenatore olandese Guus Hiddink ha dato l’addio al calcio dopo 54 anni di carriera, suddivisi tra campo e panchina. In particolare l’ultima avventura del quasi settantacinquenne tecnico ha avuto luogo a Curaçao, isola caraibica nonché nazione costituiva del Regno dei Paesi Bassi. La missione era quella di guidare la Nazionale locale fino alla qualificazione ai Mondiali di Qatar 2022. Ma la storia non è andata esattamente come ci si aspettava.

La scalata verso lo storico traguardo, infatti, si è fermata alla seconda fase, con gli uomini di Hiddink costretti ad arrendersi di fronte a Panama. Come se non bastasse, l’allenatore non ha potuto prendere parte al doppio confronto perché contagiato dal covid-19, e perciò sostituito da un altro grande del calcio orange come Patrick Kluivert. “Il mio è uno stop totale”, ha dichiarato in diretta televisiva. Ciò che invece non può cessare è il ricordo di appassionati e addetti ai lavori dei suoi trascorsi non solo con i club del Paese d’origine, PSV Eindhoven su tutti, ma anche con tante Nazionali e squadre europee e non solo.

L’addio al calcio di Guus Hiddink: una carriera ricca di soddisfazioni

Nato l’8 novembre 1946 a Varsseveld, Guus Hiddink cresce calcisticamente nel club dilettantistico della propria città, interpretando in maniera egregia il doppio ruolo di libero e mediano. Sin da subito si costruisce una fama da giramondo. Infatti, oltre a indossare la maglia di tre club olandesi quali il succitato PSV, il De Graafschap e il N.E.C., Hiddink viaggia in due occasioni verso l’America, giocando per il Washington Diplomats e il S.J. Earthquakes. Nonostante il bottino personale sia di tutto rispetto, con 290 partite giocate condite da 53 gol e 48 assist, il palmares dell’olandese resta tristemente vuoto. Tuttavia, come risaputo, ha modo di rifarsi dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, intraprendendo la carriera da allenatore. 

La nuova vita in panchina, nel ruolo di vice, inizia in due posti molto familiari a Hiddink, al De Graafschap prima e al PSV poi. Proprio in biancorosso poi, nel 1987, viene promosso al ruolo di allenatore, e la fiducia del club viene ripagata nel migliore dei modi. La compagine olandese, infatti, vince la sua prima, storica e finora unica Coppa dei Campioni, battendo avversarie eccellenti come Galatasaray, Rapid Vienna, Bordeaux, Real Madrid e il Benfica in finale. A questo successo si aggiungono 3 campionati olandesi e 3 Coppe d’Olanda, più altri 3 titoli nazionali, una coppa nazionale e la Supercoppa nella seconda esperienza alla guida del PSV, dal 2002 al 2006. Quella europea, tuttavia, resta la più prestigiosa vittoria in carriera, nonché emblematica nel suo cammino.

L’uomo delle imprese impossibili

Guus Hiddink ha avuto l’occasione di allenare alcuni club importanti come il Real Madrid e il Chelsea. Con i blancos, in particolare, ha vinto una Coppa Intercontinentale mentre con i blues vince una FA Cup e sfiora la finale di Champions League arrendendosi al Barcellona che, in seguito, avrebbe vinto il suo primo Triplete. Tuttavia restano maggiormente memorabili le imprese conseguite alla guida delle cosiddette outsiders, come lo era il PSV Eindhoven nel 1988. Sempre alla guida degli olandesi, ad esempio, ha rischiato di raggiungere nuovamente la finale di Champions League, nel 2005, cedendo solo al Milan di Carlo Ancelotti. Ma è soprattutto nel ruolo di commissario tecnico che Hiddink ha rappresentato lo spauracchio di diversi mostri sacri.

Nel 2002, alla guida della Corea del Sud, Hiddink riesce ad arrivare fino al quarto posto del Mondiale disputato in casa dalla selezione asiatica, in coabitazione con Giappone. Tuttavia quella competizione resta avvolta da un alone di mistero, ma non troppo, sul come la squadra sia giunta in semifinale eliminando avversarie più attrezzate come Portogallo, Italia e Spagna. I calciatori e i tifosi azzurri, in particolare, ricordano ancora l’arbitraggio ai limiti dell’inverosimile dell’ecuadoriano Byron Moreno. Ad ogni modo, a parte il discorso appena fatto, senza le qualità tecniche dei giocatori e la grinta di Hiddink quella squadra difficilmente avrebbe potuto raggiungere un traguardo simile.

Tra Russia e Australia

A conferma di quanto affermato in precedenza si segnalano altre due tappe importanti della carriera di Guus Hiddink. In primis la semifinale raggiunta con la Russia a Euro 2008, dove si arrende alla Spagna, futura campionessa. E poi il percorso dell’Australia nel Mondiale del 2006. La Nazionale oceanica riesce a passare come seconda del girone alle spalle del Brasile delle stelle e davanti alla Croazia e al Giappone. Agli ottavi di finale si ripresenta l’Italia, esattamente come quattro anni prima.

Ancora una volta l’avversario è ostico e insidioso, e l’espulsione di Marco Materazzi non aiuta a sbrogliare la matassa. Tuttavia gli uomini di Marcello Lippi si compattano nel momento del bisogno, e grazie all’audacia di Fabio Grosso e alla freddezza di Francesco Totti dagli undici metri staccano il pass per i quarti di finale. Il resto è storia nota. Ma resta, ancora una volta, la bravura e l’abilità indiscussa del tecnico olandese.

L’addio al calcio di Guus Hiddink dopo una carriera degna di nota

Oltre a quelle citate sono state tante le altre squadra allenate da Guus Hiddink dal 1987 ad oggi, nell’anno del suo addio al mondo del calcio. Dal Fenerbahçe all’Anzhi, passando per Valencia, Olanda, Betis Siviglia e Cina, l’allenatore olandese ha sempre cercato di lasciare un’impronta del suo stile di gioco. Un sistema basato sulla semplicità e la compattezza delle proprie squadre, ma senza disdegnare il gioco propositivo.

Guus Hiddink dà l'addio al calcio: un viaggio emozionante

Solitamente si dice che nel calcio, come in qualsiasi altro sport, esistano solo due categorie di persone: i vincenti e i perdenti. Senza assolutizzare eccessivamente queste classificazioni, si può dire che Guus Hiddink abbia fatto parte di entrambe, perché ha vinto tanto ma ha anche perso in maniera inspiegabile, con squadre decisamente più attrezzate. L’unica costante in entrambi i casi era la grande emozione vissuta dai diretti protagonisti e dai tifosi. E allora sorge spontanea una considerazione, forse scontata ma allo stesso tempo oggettiva: nella vita, come nello sport, non conta la meta, bensì come si vive il viaggio. E l’allenatore olandese, di certo, se l’è goduto pienamente.

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