Fin dai primi calci dati ad un pallone, due sono i sogni che ogni giocatore desidera realizzare: indossare la “10” della propria squadra del cuore e diventarne, forse un giorno, il capitano. La ragione di quest’ultima speranza è facilmente intuibile: agli occhi dell’ammiratore appassionato il valore del capitano è inestimabile. Egli è la guida della squadra in campo; è colui che rappresenta i compagni agli occhi del mister, della società e dei tifosi.
Questo calciatore è particolare, forse addirittura “diverso”. Mai posto su un piano differente rispetto agli altri, sa intimamente di avere un compito importante: quello di simboleggiare il proprio Club al di fuori dal rettangolo verde. La sua è una figura indispensabile: addirittura, talvolta, è chiamato a far da tramite tra il gruppo e l’allenatore. Egli deve saper responsabilizzare le proprie azioni (più di quanto non debbano farlo gli altri) e deve riuscire ad incarnare valori nei quali si possano rispecchiare tutti i componenti della rosa.
Chi è davvero il capitano?
Il compito di indossare la fascia al braccio è talvolta impegnativo ma sempre fonte di immenso orgoglio. Possono cambiare i moduli, possono variare le tattiche utilizzate o il numero di centrocampisti schierati in formazione; ciò che non può assolutamente mancare è la figura del capitano. Scegliere chi eleggere come proprio “rappresentante” è un lavoro non semplice: esistono rose con un condottiero storico, alcune lo fanno stabilire al proprio allenatore, altre ancora ne decretano l’elezione mediante una votazione tra membri dello spogliatoio. Quest’ultimo metodo è il più affascinante poiché svela intimamente il significato simbolico di questa nomina. Quasi fosse un’elezione “tribale”, il voto della squadra dà ancora più valore alla designazione e fa sì che il prescelto si senta legittimamente a capo del gruppo.
Questo calciatore non dev’essere assolutamente una “testa calda”. Egli deve saper mantenere la calma, essendo chiamato ad interagire con l’arbitro in campo. Dovendo essere un punto di riferimento per i compagni, deve conoscere i metodi migliori per rinvigorire chi lo affianca sul terreno di gioco. Deve ispirare fiducia e rispetto. Ogni sportivo vorrebbe avere al proprio fianco un capitano comprensivo, premuroso ed in grado di risollevare gli animi in caso di necessità.
Un esempio illustre: lo United di Sir. Alex Ferguson
Gli equilibri all’interno di uno spogliatoio sono più fragili di quanto si possa immaginare. Esistono calciatori vanitosi, altri timidi e poco affini alle apparenze. Taluni amano rispettare con il silenzio l’intimità dei momenti cruciali, altri, invece, provano a demonizzarli cercando di esprimere l’emozione attraverso le parole. E’ evidente come, personalità così contrastanti, non sempre riescano a convivere all’interno di uno stesso ambiente. É importante dunque che, qualcuno tra loro, venga eletto come capitano per limare le spigolosità e per assistere e coordinare l’unione di identità, tra loro anche molto distanti.
Questo è ciò che è successo all’interno dello spogliatoio del Manchester United, quando ancora Alex Ferguson ne era il coach. Il tecnico britannico scopriamo esser stato un grande maestro, non solo tatticamente, anche per l’interpretazione data alle personalità dei propri ragazzi. Lo scozzese ha saputo riconoscere il valore del capitano in un ragazzo che ormai si sentiva poco adatto a rivestire quel determinato ruolo.
Recentemente, infatti, Gary Neville (condottiero della formazione inglese) si è così espresso riguardo le vesti che era stato chiamato ad indossare: “Sono andato a trovare Sir Alex durante la preparazione, il terzo anno in cui ero capitano. Avevamo una squadra fantastica: Ronaldo, Rooney, Scholes, ecc. Sono andato da Ferguson e gli ho detto: “non mi sento più degno di essere capitano. Questa squadra è ad un livello al quale non posso più competere”. Mi ha risposto: “tu terrai quella c***o di fascia, figliolo. Vi alternerete tu e Giggs. Se eleggo Ronaldo, Rooney darà di matto; la do a Rooney? Ronaldo impazzirà. Se invece la consegno a Vidic, Ferdinand sarà scontento”.
Il valore del capitano non sottostà alla legge dei numeri
Così abbiamo potuto constatare come, anche Cristiano Ronaldo, uno dei più grandi interpreti della storia del calcio, non sia stato capitano della propria formazione. Il motivo è subito evidente: non è indispensabile risultare i migliori della squadra per esserne la guida. Il mistero che avvolge questa figura è da sempre indecifrabile, ben impresso, però, nell’immaginario di chi vive l’universo agonistico e sportivo.
Già il titolo dà prova del fatto che non basta essere un forte calciatore per poter indossare la fascia al braccio. Il valore del capitano non sottostà ai numeri: né a quelli di maglia né a quelli fatti realizzare in campo. Il leader del gruppo riesce ad andare oltre a questi dettagli. Nella storia essi hanno indossato la “6”, la “10”, la “1” e persino la “9”, non facendo dipendere il proprio compito dalla posizione ricoperta. Assegnare un ruolo così delicato è motivo di profonda riflessione: il capitano deve essere un elemento rispettato, deve essere accettato dalla totalità del gruppo. L’elezione non deve dividere la rosa bensì deve saper donare questa carica delicata a colui che sappia esaltare chi gli sta attorno.
La designazione di questa mansione dev’essere un fattore aggiuntivo, non limitante. Il capitano deve ispirare i compagni, deve sapersi far ben volere, dev’essere abile nell’includere anche i membri relegati ai margini del progetto. Ecco dunque che, il sogno di imitare i grandi condottieri calcistici del passato, vede equivalersi numericamente oneri ed onori.
Questo compito non può appartenere a tutti: non è assegnato a colui che realizza più gol o a chi sa emergere per la cattiveria sportiva. Il vero leader è colui che con una parola riesce a motivare, che con un gesto sa far ritrovare le forze mancanti, che conosce il modo migliore per essere presente nei momenti più difficili.