Inter, 15 anni senza Facchetti: l’uomo dietro il campione

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Il 4 settembre è una data che suscita nei tifosi nerazzurri nostalgia e commozione. In questo giorno, infatti, ben 15 anni fa, nel 2006, veniva a mancare, dopo un lungo periodo di malattia, un grande del calcio italiano, artefice di numerosi successi con l’Inter e con l’Italia: Giacinto Facchetti. Tanto si è scritto e tanto si è parlato di questo grande personaggio del passato, e ogni parola ulteriore, probabilmente, sarebbe solo superflua. Tuttavia, è doveroso rendere omaggio, in queste occasioni, a coloro i quali hanno sempre avuto la capacità di distinguersi non solo per le proprie prestazioni all’interno del rettangolo di gioco, ma soprattutto al di fuori di esso. Al giorno d’oggi la tendenza di cui sopra, tuttavia, è andata progressivamente scemando.

Attualmente, infatti, tendono a fare notizia le “gesta” di quei calciatori che rompono gli schemi soprattutto per quanto riguarda la cronaca rosa o campi affini. O che magari giurano fedeltà a un determinato club, professandosene tifosi sin dall’infanzia, per poi vendersi al miglior offerente. Sembrano sempre più rari quegli esempi di atleti, parafrasando la canzone dell’artista aostano Diodato, di “L’uomo dietro il campione”, dedicata a Roberto Baggio in occasione dell’uscita del film dedicato a lui su Netflix. Tutti ciò per sottolineare ulteriormente l’importanza di ripercorrere la carriera di chi, invece, ha trasmesso ben altri messaggi agli appassionati di questo sport e non solo.

La carriera di Giacinto Facchetti: cuore a metà tra l’Inter e l’Italia

Giacinto Facchetti nasce a il 18 luglio 1942 a Treviglio, in provincia di Bergamo, dove cresce calcisticamente, tra i campi dell’oratorio e nella Trevigliese, prima che l’allora allenatore nerazzurro, Helenio Herrera, scopra il suo talento e lo porti all’Inter. Proprio al tecnico argentino viene attribuita la paternità del soprannome “Cipe”, diminutivo di Cipelletti, col quale cominciò erroneamente a chiamarlo. Siparietto a parte, alla fine il rapporto tra i due trovò il miglior risvolto proprio in campo. Facchetti infatti, nel sistema di gioco di Herrera, fu antesignano del terzino di spinta, avendo caratteristiche fisiche e atletiche tali da consentirgli di fare su è giù per il terreno di gioco. 

Alla fine i fatti, e i numeri, diedero ragione al “mago”: per il “Cipe” furono 76 i gol realizzati con la maglia dell’Inter, su un totale di 634 partite giocate. Numeri che portarono numerosi trofei al club di Angelo Moratti: 4 Scudetti, 2 Coppe dei Campioni, una Coppa Italia e 2 Coppe Intercontinentali. Chiunque in quegli anni, e anche dopo, imparava a memoria la formazione tipo di quella squadra, quasi a mo’ di poesia: “Sarti, Burgnich, Facchetti; Bedin, Guarneri, Picchi; Jair, Mazzola, Milani (Peirò, Domenghini), Suarez, Corso. Facchetti rappresenta, perciò, un esempio per tante generazioni di difensori che si sarebbero formate nei decenni successivi. E anche con la maglia azzurra dell’Italia non fu da meno. 

Per lui sono state ben 94 le partite giocate a difesa del proprio Paese, vivendo due Mondiali da capitano, a Messico 1970 e a Germania Ovest 1974. Restano impresse, anche in questo caso, le epiche immagini di Italia-Germania 4-3, semifinale della prima delle competizioni succitate, in cui gli azzurri si arresero solo in finale a un incontenibile Brasile. Decisamente più lieto, invece, il ricordo della finale dello stadio Olimpico contro la Jugoslavia, nel 1968. In quella circostanza fu proprio Facchetti ad alzare al cielo la coppa del primo, e unico fino al 2021, Europeo azzurro. Piccole, grandi imprese sportive che fanno sempre la differenza nella carriera di un calciatore. Ma di certo, come già detto, non ci si può fermare solo a questo.

Giacinto Facchetti: fare la differenza fuori dal campo

Una volta appesi gli scarpini al chiodo, Giacinto Facchetti non abbandonò l’Inter. L’ormai ex calciatore, infatti, divenne autentico simbolo del mondo nerazzurro, ricoprendo diversi incarichi dirigenziali fino alla presidenza, nel biennio 2004-2006. In particolare resta controverso il suo accostamento alle vicende di Calciopoli, in quanto, dopo anni dallo scandalo del 2006, sarebbero emersi ulteriori elementi che l’avrebbero visto coinvolto alla pari dei suoi colleghi delle altre squadra incriminate. Fatto salvo che la vicenda non è mai stata chiarita, a causa della dipartita del diretto interessato e del sovvenire della prescrizione del reato, resta la vera sostanza dell’uomo Facchetti.

Inter, 15 anni senza Facchetti: l'uomo dietro il campione

Anche dopo aver finito di giocare, infatti, riuscì sempre a farsi voler bene da appassionati e addetti ai lavori, tanto da meritarsi un altro appellativo, quello di “gigante buono”. Forse anche troppo, visto quanto emerse nella stessa vicenda che tutt’oggi macchia il nostro calcio. Una bontà contornata da un ineguagliabile stile e signorilità, paragonabili solo a quelli con i quali calcava i prati degli stadi d’Italia e non solo. Fare ironia e trovare la polemica anche dove non ce ne sarebbe bisogno rientra nel discorso fatto in apertura. La tendenza attuale è quella di far emergere il marcio anche dove è minimo. Ma alla fine, come detto, restano i fatti, che dicono ben altro.

I valori qualificano l’uomo

Giusto un giorno prima di Facchetti, ma ben 17 anni prima, perse la vita in un tragico incidente d’auto un altro grande del nostro calcio, bandiera della Juventus e della Nazionale campione del mondo nel 1982: Gaetano Scirea. Entrambi sono accomunati dalla grandezza dentro e fuori dal campo, venendo ricordati ancora oggi come due simboli di due compagini da sempre rivali. E allo stesso tempo sono diventati protagonisti di una celebre canzone degli Stadio, intitolata proprio “Gaetano e Giacinto”, in cui si dice: “Gaetano e Giacinto sono due tipi che parlano piano anche adesso, adesso che sono lontano. Ma in questo frastuono è rimasta un’idea, un eco nel vento, Facchetti e Scirea”.

In conclusione quindi, parafrasando questi versi, si può affermare che oltre l’uomo restano le idee e i valori, universalmente riconosciuti. E Facchetti resterà sempre un simbolo di atleta e uomo sempre più rari da trovare nel calcio attuale, così come Scirea. L’aver, eventualmente, commesso degli errori nella propria vita non può macchiare quanto di buono è stato fatto. E chi crede realmente nei suddetti valori questo lo sa bene.

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