La teoria filosofica vichiana dei corsi e ricorsi storici si abbatte come una mannaia sull’entusiasmo di un “Renzo Barbera” gremito. A Palermo, la Nazionale di Roberto Mancini cade al 92^ contro la Macedonia. Una gran conclusione da fuori di Trajkovski manda la squadra allenata da Milevski a giocarsi la finale col Portogallo e mette l’Italia alla porta del Mondiale qatariota. Gli azzurri ci provano in tutti i modi, ma proprio non riescono a trovare la via del gol. E così, riprende vita l’incubo del 2017, quando fu la Svezia a farci fuori. Proviamo a spiegare i fattori di questa debacle attraverso la nostra analisi tattica di Italia-Macedonia del Nord. Iniziamo, come sempre, dalle formazioni.
Roberto Mancini si affida al consolidato 4-3-3. Donnarumma tra i pali, Emerson e Florenzi esterni bassi e al centro la coppia di scuola atalantina Bastoni e Mancini. Jorginho in cabina di regia, con Verratti e Barella ai suoi fianchi. Tridente con Immobile centravanti e Insigne e Berardi larghi.
Gli ospiti mascherano il loro consueto 4-2-3-1 con un 4-4-2 a trazione posteriore. In porta c’è Dimitrievski. Linea difensiva composta da Ristovski, Velkovski, Musliu e Alioski. A metà campo Ademi e Bardhi, con Churlinov e Nikolov sulle fasce. Davanti, la coppia d’attacco vede Ristovski insieme al mattatore Trajkovski.
Primo tempo: l’incapacità di sbloccare il match
Spiegare l’insuccesso degli azzurri è impresa assai ardua. Soprattutto vista l’elevata mole di gioco prodotta. Cerchiamo però di delineare quelli che sono gli elementi essenziali di questa analisi tattica di Italia-Macedonia. La squadra di Mancini ha dalla sua un’evidente superiorità tecnica abbinata ad un approccio spregiudicato, grazie a cui impone il proprio ritmo. La nostra Nazionale imposta con la difesa a 3, della quale Mancini è il centrale, con Bastoni e Florenzi, che stringe la propria posizione, ai suoi lati. Emerson, invece, agisce molto alto, sfruttando lo spazio liberato sulla sinistra dal movimento a convergere di Insigne.
Sulla corsia di destra, Berardi parte piuttosto largo, salvo poi accentrarsi anche lui per arrivare alla conclusione. In questa situazione, Barella è subito pronto a portargli la sovrapposizione per creare un due contro due. L’avvio degli azzurri è all’insegna dell’intensità e della ricerca di sfogo sulle fasce. Anche perché centralmente e, soprattutto, nell’area di rigore i macedoni non concedono nulla. L’attaccante del Sassuolo dimostra particolare intraprendenza, saltando continuativamente l’uomo e arrivando o al tiro o al cross.
Nei primi 15 minuti, il dominio degli azzurri è totale. L’obiettivo è quello di schiacciare e avvolgere gli avversari senza dar loro tregua. Ed ecco che anche in fase di non possesso, gli uomini di Mancini rimangono alti a pressare. Le nostre mezz’ali attaccano a turno i centrali nei loro timidi tentativi di costruzione dal basso. Un occhio particolare è invece dedicato al loro giocatore di maggiore qualità, Bardhi, costantemente braccato. L’aggressività dei nostri e la loro goffaggine tecnica producono molti recuperi, che però non riusciamo a sfruttare a dovere.
Analisi tattica Italia-Macedonia: sale in cattedra Verratti
Dopo il primo quarto d’ora di grande qualità, l’Italia ricerca altre varianti. Con Jorginho marcato a uomo, la fase di prima impostazione ricade sui piedi di Bastoni prima e di Verratti poi. Il centrocampista del PSG diviene la nostra principale fonte di gioco, anche perché cominciamo a perdere fluidità e pericolosità sugli esterni. Insigne è poco brillante, Emerson un po’ timoroso e Berardi si spegne dopo un clamoroso gol mangiato.
L’ex Pescara entra nel vivo del gioco. Parte basso vicino a Jorginho per poi avanzare tra le linee, in posizione quasi da trequartista. Qui, con la sua qualità, riesce a dialogare con i giocatori offensivi, cercando dei varchi nella muraglia rossa. Il più ricercato è Immobile, soprattutto nei suoi scatti in profondità. Il centravanti della Lazio si muove tanto e bene, ma difettiamo di precisione nel servirlo. La Macedonia continua a dare sfoggio di discutibili abilità tecniche, ma non siamo particolarmente precisi e cattivi per colpire. Tante conclusioni da fuori, ma nessun pericolo reale arrecato. In più, tutti i nostri (numerosi) tiri nello specchio vengono murati con uno stoico senso della protezione da parte dei difensori macedoni. Andiamo così all’intervallo sullo 0-0.
Secondo tempo: gol mangiati (tanti) e gol subito
Nella ripresa, il copione dell’analisi tattico di Italia-Macedonia non cambia. La Nazionale di Mancini approccia ancora con intensità, recuperando molti palloni e arrivando spesso a concludere l’azione. Ancora una volta, il più voglioso è Berardi. Ma sfortunatamente, non trascorre una piacevole serata con la mira. L’esterno del Sassuolo si rende pericoloso tagliando dentro al campo, in modo da poter liberare il suo sinistro, imbeccato dalle solite giocate in verticale di Verratti.
I problemi offensivi dell’Italia portano il ct a cambiare tutto il tridente tra il minuto 64 e l’89. Il primo a entrare è Raspadori, per Insigne. Il classe 2000 agisce nella medesima posizione: parte da sinistra, per poi accentrarsi. Una decina di minuti dopo, tocca a Immobile lasciare il campo. Insieme a lui va a sedersi anche Barella, andato anche lui spegnendosi nel corso del match. Ai loro posti scendono in campo Tonali e Pellegrini. Mancini necessita di forze fresche dalla panchina, ma decide di rimanere col 4-3-3. Ecco che Raspadori va a fare il centravanti, col centrocampista della Roma che passa a sinistra.
Nel frattempo, la nostra Nazionale continua a dominare territorialmente la gara e a produrre occasioni. Ma i macedoni si immolano su ogni pallone, concedendo il minimo possibile. Pur disputando una partita prevalentemente difensiva, gli ospiti, senza troppi impegni, si ritagliano qualche situazione, arrivando anche a bussare dalle parti di Donnarumma. Ad un minuto dal 90^, arriva un’altra doppia sostituzione tra le fila azzurre. Dentro Chiellini e il debuttante Joao Pedro, fuori Berardi e un acciaccato Mancini. Nuovo cambio nel tridente: il cagliaritano va a fare la prima punta e Raspadori torna largo a sinistra, con Pellegrini dall’altra parte. La partita sembra ormai avviata ai supplementari, nonostante lo sforzo degli azzurri.
Eppure, al secondo minuto di recupero, succede l’incredibile. Una palla vagante dopo un duello aereo viene calciata a meraviglia da Trajkovski. Palla all’angolino basso destro e Donnarumma battuto. La Macedonia passa in vantaggio. Inutile il forcing finale dell’Italia, con Tonali ultimo uomo e tutti su alla disperata ricerca del pareggio. Joao sfiora il gol, ma nulla da fare, la porta è stregata. Finisce così 0-1 per gli ospiti. Finisce così il nostro sogno di andare ai Mondiali.
Analisi tattica Italia-Macedonia: le considerazioni finali
Il calcio italiano è alla frutta? È una domanda su cui forse bisogna incominciare a riflettere. E no, non è una battuta. Anzi, viene da una profonda delusione, col minimo del sarcasmo e il massimo dell’amarezza! Per la seconda volta consecutiva non parteciperemo ai Mondiali. Eppure, solo 8 mesi fa eravamo sul tetto d’Europa, con merito. Sembra passata un’era geologica, ma nel frattempo, alcuni sintomi si erano già manifestati. I risultati delle italiane in Europa e gli ultimi della nostra Nazionale parlano chiaro. La stagione rivoluzionaria portata da Mancini ha trovato la sua pietra d’inciampo. Questo fallimento non può essere orfano e ha radici molto più profonde di quanto la vittoria degli Europei non abbia nascosto. E noi, forse, ci siamo lasciati anestetizzare dall’illusione di aver risolto i problemi.
La Macedonia, con tutti i suoi limiti tecnici e senza i suoi giocatori più carismatici, come Pandev ed Elmas, si ritrova a giocarsi il Mondiale contro il Portogallo. Un successo frutto di una strategia che definire essenziale è eufemistico. Strenua difesa della propria porta, possesso palla minimale e un pizzico di sana follia nel trovare il gol a pochi minuti dai supplementari. Bravi loro a sfruttare la leggerezza nel giocarsi una partita in casa dei campioni d’Europa senza la pretesa di dover dimostrare alcunché. Ed è proprio così: la semplicità ha avuto la meglio sul blasone, sui titoli e sui nomi, nella più classica delle vittorie di Davide contro Golia.