Pierluigi Casiraghi, centravanti Cuor di Leone

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Attribuire una dote morale ad un calciatore, e considerare questa come il tratto distintivo del suo gioco, può sembrare un eccesso di romanticismo calcistico; ma se pensiamo a Pierluigi Casiraghi, centravanti simbolo degli anni ’90, la prima dote che ci viene in mente è quella del coraggio. Coraggio, in ogni azione, anche in quella che gli costò fatalmente la carriera a soli 29 anni.

Con le dovute proporzioni che la storia ci impone e con un po’ di fantasia che l’epica ci concede, potremmo immaginare Casiraghi come un centravanti dal Cuor di Leone, come il celebre Re d’Inghilterra di fine XII secolo. L’attaccante brianzolo viveva ogni pallone in area di rigore come una battaglia, di quelle che Riccardo I d’Inghilterra combatteva in prima persona. Una crociata verso la porta avversaria, da conquistare a suon di gol. Imprese epiche e acrobatiche, rimaste impresse nella mente dei tifosi, come la rovesciata del 2-0 che regalò il derby romano del 1995 alla Lazio.

Fisicità e grinta, le armi da centravanti di Casiraghi

Se gli anni ’90 del calcio italiano sono caratterizzati da attaccanti dall’eleganza sopraffina, va da sé che uno come Casiraghi passi un po’ in sordina. All’eleganza di Van Basten, alla classe di Baggio e all’estro di Del Piero, un centravanti vecchio stampo come Gigi Casiraghi contrappone fisicità e grinta. E proprio queste sono le armi da battaglia che valgono al giocatore brianzolo il primo grande salto della sua carriera. 

La storia (o leggenda) vuole che durante una partita di Coppa Italia tra Juventus e Monza Boniperti decide di portare in bianconero Casiraghi. Il giovane Pierluigi, che nella squadra della sua città ha fatto tutta la trafila (tra giovanili, serie C e serie B), si trova ad essere marcato dallo stopper per eccellenza, Sergio Brio. Brio, uno che di colpi non ne risparmia, è sorpreso dal modo in cui il giovane “gladiatore” risponde, con grinta e determinazione, alle angherie calcistiche subite dal difensore juventino. Tanto basta per suggerirne l’acquisto al suo presidente. Gigi è destinato alla Vecchia Signora, nonostante la sua fede milanista.

Casiraghi, “testa” alla Juve

Se lo studio scozzese secondo cui i calciatori sarebbe maggiormente soggetti a demenza a causa dei colpi di testa, io dovrei esser uscito di senno già da tempo! ha affermato scherzosamente lo stesso Casiraghi. Lui, in effetti, di colpi di testa ne sa qualcosa. 18 reti realizzate di testa negli anni alla Juve, praticamente la metà di quelli totali. Casiraghi è una sentenza sui cross, un guerriero sui calci piazzati. Nella prima stagione, in una Juventus operaia allenata da Dino Zoff, Casiraghi contribuisce al double bianconero, in particolare con una marcatura nella finale d’andata di Coppa UEFA.

Pierluigi Casiraghi, centravanti Cuor di Leone

Le successive stagioni bianconere sono però caratterizzate da scelte tecniche e societarie piuttosto confusionarie: l’annata fallimentare con Maifredi ed il ritorno alle origini con Trapattoni portano il club a rinfoltire il reparto avanzato con grandi nomi, da Baggio a Vialli. Ne fa le spese Casiraghi, che chiude il cerchio proprio con un’altra vittoria in Coppa UEFA, questa volta non da protagonista.

Gli anni alla Lazio, tra Zoff e Zeman

A ridare slancio ad una carriera che rischia di offuscarsi, è l’occasione per Casiraghi di ricongiungersi con il proprio mentore, Dino Zoff. Perché nel frattempo il bisontino (altro soprannome affibbiatogli con affetto) si è ritagliato il suo spazio nel giro della Nazionale. Il c.t. Arrigo Sacchi ha un debole per lui, per i suoi movimenti, tanto faticosi per il centravanti quanto utili a creare spazi per i compagni. È questa costante abnegazione a far innamorare i tifosi biancocelesti, e non solo.

Pierluigi Casiraghi, centravanti Cuor di Leone
Boksic, Signori, Casiraghi: il tridente (insieme a Rambaudi) di cui disponeva Zeman alla Lazio.

Casiraghi di gol non ne segna tanti ma ne fa segnare. Fa il lavoro sporco per compagni più dotati tecnicamente e dalla migliore vena realizzativa, come Bokšić e Signori. Soprattutto con quest’ultimo il legame è speciale e l’arrivo del croato rischia di spezzare l’intesa tutta italiana. Ma è proprio con un altro slavo che Casiraghi gioca le sue migliori stagioni; Zdeněk Zeman trova nel centravanti azzurro, ed in tutto il reparto offensivo biancoceleste, terreno fertile per una nuova Zemanlandia. 

Casiraghi e Zemanlandia

Allenamenti massacranti, sudore e fatica durante la settimana. Eppure i migliori ricordi di Casiraghi sono proprio quelli con il tecnico boemo perché alla domenica ci divertivamo come matti!“. Si divertono loro, i giocatori, si divertono i tifosi, laziali e non. Una primavera, quella del 1995, fatta di risultati esagerati, come l’8-2 ai danni della Fiorentina (con quaterna di Gigi), simbolo di una squadra che vuole correre, segnare e dare spettacolo. Nelle due stagioni con Zeman, la Lazio conquista un 2° ed un 3° posto e Casiraghi segna 12 e 14 reti.

Dopo l’era Zeman, l’attaccante monzese continua a dare il suo contributo in biancoceleste anche con il ritorno di Zoff prima e l’arrivo di Sven-Göran Eriksson poi. Ma viene visto più come un gregario che come una pedina fondamentale. E così, scendendo dalle montagne russe di Zemanlandia, l’attaccante tutto corsa e coraggio si trova un po’ spaesato. Al contempo, le vicissitudini in Nazionale non gli sono d’aiuto…

Pierluigi Casiraghi, centravanti Cuor di Leone

L’azzurro e Casiraghi: quello che poteva essere e non è stato

La storia della Nazionale italiana anni ’90 è tutta fatta di nostalgia, rimpianti, rimorsi per quello che poteva essere e non è stato. La mente va ai rigori sbagliati, da Baggio a Di Biagio ai Mondiali, passando per Zola agli Europei. Ma la storia di Casiraghi è diversa. Perché lui le sue chance non le ha avute, pur meritandole.

Artefice di tutto, nel bene e nel male, è Arrigo Sacchi. “Se a calcio si giocasse da fermi probabilmente non potrebbe neppure giocare in Serie C. Ma il calcio è un gioco di movimento e a quel punto diventa uno dei più forti attaccanti in circolazione“. Le parole del Profeta di Fusignano sono la perfetta di sintesi di ciò che Casiraghi suscita in chi lo vede giocare. Qualcuno di cui non ti innamori all’istante, ma impari ad apprezzare nel tempo, fino a ritenerlo indispensabile. Sacchi, appunto, convoca Casiraghi per il Mondiale ’94, concedendogli 3 presenze. L’attaccante azzurro non segna mai e non gioca la finale dal triste epilogo. “Faceva un caldo assurdo, era impensabile pensare di giocare sempre. Pertanto, in una logica dell’alternanza, con il Brasile toccò a Massaro giocare come centravanti”: Casiraghi se ne fa una ragione.

Casiraghi e le delusioni azzurre

Europeo del ’96, ancora Sacchi, ancora una convocazione per l’attaccante reduce dalla sua miglior stagione a livello di marcature. Anche in azzurro Casiraghi conferma la sua vena realizzativa: partita d’esordio contro la Russia, parte titolare e segna una doppietta che vale i primi (ed ultimi) 3 punti del girone. Diventa l’idolo del momento, testimonial (non di proposito) del cerotto che porta sul naso, di quelli che aiuterebbero a respirare. La sua doppietta è una boccata d’ossigeno per la spedizione azzurra e gli italiani possono esultare a pieni polmoni.

Pierluigi Casiraghi, centravanti Cuor di Leone
Casiraghi ed il suo inconfondibile cerotto al naso all’Europeo del ’96.

È per questo che l’esclusione dall’undici titolare nella gara successiva contro la Repubblica Ceca risulta ancora inspiegabile a distanza di anni. La porta difesa da Peruzzi verrà trafitta anche da Nedved, che di lì a poco diventerà compagno di squadra proprio di Casiraghi, e l’avventura europea degli azzurri si concluderà con quel rigore sbagliato da Zola contro la Germania.

Se si pensa che Casiraghi è l’artefice del gol-qualificazione nello spareggio (ancora contro la Russia), la sua esclusione dal Mondiale di Francia del ’98 ha un sapore ancora più amaro, una crudeltà sportiva nei suoi confronti. Fra la riconoscenza sportiva e il talento cristallino, Cesare Maldini opta per la seconda e Casiraghi deve far spazio a Roby Baggio, mentre come centravanti gli verranno preferiti Vieri e Inzaghi. Pur non manifestando mai alcun risentimento per la mancata convocazione, possiamo immaginare che anche questo episodio abbia portato il nostro Pierluigi a espatriare di lì a poco.

Casiraghi e il Chelsea: nuova vita, vecchi compagni

“Sin da piccolo il calcio inglese mi aveva affascinato e si era aperta questa possibilità a Londra con gli amici Zola, Vialli e Di Matteo“. La voglia di una nuova avventura e la consapevolezza della fine di un ciclo a Roma spingono Casiraghi, all’epoca 29enne, ad accettare le lusinghe del Chelsea. I blues sono ormai una colonia di italiani. Vialli, nel doppio ruolo di giocatore-allenatore, è pronto ad accogliere l’ariete monzese in Premier League: un torneo atletico con ritmi alti e calcio offensivo. La sfida perfetta che Casiraghi accetta con coraggio ed entusiasmo.

Il bisontino monzese ci mette un po’ a calarsi nella dimensione inglese, ma l’amico Vialli crede in lui. La svolta sembra finalmente arrivare con la prima (e, purtroppo, ultima) marcatura in Premier, un gol da centravanti puro: lo splendido lancio di Di Matteo premia la corsa di Casiraghi, che aggira la difesa del Liverpool e supera in velocità il portiere prima di insaccare a porta vuota. È un gol liberatorio, una gioia per lui e per chi, come Vialli, lo ha fortemente voluto a Londra.

Un impatto fatale ferma la corsa di Casiraghi

Casiraghi non ha il tempo di godersi altre gioie calcistiche; è il suo coraggio, che tante volte lo ha premiato, a costargli caro. Perché arriva quello scontro con il portiere Hislop del West Ham che “mi rovinò la vita da calciatore: distrussi il ginocchio toccando anche un nervo particolare”. È l’inizio di un calvario dal triste epilogo: si susseguono operazioni dopo operazioni (10 in totale) fino a che, durante l’ennesimo tentativo di recupero, non salta anche il tendine rotuleo. Nel frattempo, il presidente del Chelsea Ken Bates ha perso già da tempo le speranze di un recupero, avviando un procedimento unilaterale di licenziamento del giocatore. Abbandonato dal club e dal suo ginocchio, a soli 30 anni Pierluigi Casiraghi capisce che è arrivato il momento di fermarsi.

Dopo una carriera fatta di corsa, coraggio e nervi, Casiraghi si dimostra estremamente lucido nell’accettare il destino beffardo. “Ritrovarsi fuori dal tuo mondo a circa 30 anni poteva essere devastante ed all’inizio fu davvero pesante. Ma mi resi conto che in carriera mi ero comunque preso delle soddisfazioni e che nella vita c’erano cose ben peggiori“. Riccardo Cuor di Leone morì colpito da una freccia mentre, incurante del pericolo, si aggirava attorno al castello nemico. Sprezzante del pericolo, privo di cotta maglia. Come Riccardo, anche Casiraghi avrebbe potuto rinunciare ad un po’ del suo coraggio ed arrestare la sua corsa prima del fatale impatto. Ma la sua storia sul campo ce lo racconta: al coraggio da “Cuor di Leone” Casiraghi non avrebbe potuto mai rinunciare.

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