Roma-Lazio: quando il derby era sinonimo di Scudetto

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Roma: la capitale, mille motivi per visitarla, due squadre che da sempre dividono i cittadini capitolini. Una, gialla come er sole e rossa e come er core, l’altra biancoceleste come i colori del cielo. Da una parte la lupa, che leggenda vuole, abbia nutrito Romolo e Remo che ebbero l’onore di fondare la città; all’angolo opposto l’aquila, simbolo delle legioni dell’impero romano capaci di conquistare la quasi totalità del mondo occidentale, salvo poi sfaldarsi con l’arrivo dei barbari. Il fine settimana che la città eterna aspetta da una intera stagione, quello che accompagna i tifosi al fischio d’inizio del derby tra Roma Lazio.

Roma-Lazio: quando il derby era sinonimo di Scudetto

Ore 18, Stadio Olimpico, il pragmatismo di José Mourinho di fronte all’estetismo di Maurizio Sarri. Difatti, l’andata ha visto prevalere la bellezza laziale per 3-2, con i giallorossi a gridare vendetta per le tante occasioni sciupate. Oltretutto, quest’anno 3 punti potrebbero valere anche un posto in Europa League.

Derby tra Roma e Lazio: il back-to-back sul trono d’Italia

Entrambe le compagini, però, da un decennio a questa parte faticano a imporsi nei confronti delle big three, eccetto qualche vittoria sporadica a tinte celesti. Eppure, i primi due Scudetti del nuovo millennio hanno soggiornato all’interno del Raccordo anulare, traversando di fatto il letto del Tevere passando dalla maglia laziale a quella romanista. All’interno di questo focus analizzeremo dettagliatamente le due formazioni tipo consecutivamente laureatesi Campioni d’Italia, paragonandole. Ma prima qualche pillola di cronistoria. La Lazio vinse uno dei campionati più impensabili del recente passato. Molti di voi ricorderanno il famosissimo gol di Calori sotto l’irrefrenabile acquazzone del Renato Curi di Perugia che condannò la Juventus al secondo posto. Nel frattempo a Roma, gli aquilotti aspettavano trepidanti la fine del match con gli occhi puntati sugli schermi dello stadio. 

L’anno dopo i cugini decisero di non far attendere troppo i loro tifosi, scucendo di fatto il Tricolore dal petto della Lazio. Certo, complice anche una sessione di mercato strabiliante condotta dal mai dimenticato presidente Franco Sensi che acquisì in un solo colpo Walter Samuel, Emerson Gabriel Omar Batistuta. Ancora davanti agli occhi l’invasione di campo totale dei tifosi lupacchiotti prima del termine di Roma-Parma, match che regalò la gloria a Fabio Capello e i suoi. 

Roma-Lazio: gli allenatori della gloria

Proprio dai condottieri vogliamo partire per analizzare le divergenze che sono intercorse tra le due squadre gloriose. Da una parte, lato biancoceleste, lo svedese Sven-Göran Eriksson che 13 anni prima era stato alla guida degli acerrimi rivali. Le sue idee hanno lasciato il segno, e continuano a farlo, nel calcio moderno. Ogni qualvolta vediamo l’Atletico de Madrid di Diego Pablo Simeone estenuare gli avversari pressando, lì c’è la mano del tenente svedese. Se l’Italia di Roberto Mancini ha messo in luce le qualità di Leonardo Spinazzola, un po’ lo dobbiamo anche a lui. Così come la fitta rete di passaggi attuata dalle squadre di Simone Inzaghi è di matrice erikssoniana. E ancora, la grandissima capacità gestionale di Carlo Ancelotti dei giocatori di livello e potremmo continuare ancora. Ma anche le sue parole risultano essere eloquenti: “alla Lazio il miglior momento della mia carriera!” Chiuderà l’annata 1999-2000 con 72 punti, riportando i laziali al successo dopo ben 26 anni, finora l’ultimo.

Roma-Lazio: quando il derby era sinonimo di Scudetto

In altre zone della Capitale mai dimenticheranno le gesta di don Fabio Capello, anch’egli ultimo a rendere vittoriosa la Roma. Vero esperto del calcio all’italiana, basato su una difesa eccellente e delle straordinarie ripartenze, col tempo si è guadagnato l’appellativo di sergente di ferro. Un vero martello per i suoi giocatori, in carriera è stato capace di mettere in riga gente come Zlatan Ibrahimović. A ereditare la sua ideologia, uno su tutti: Antonio Conte. Riuscì a imporsi durante la stagione 2000-2001 grazie a un insolito 3-4-1-2 con la presenza stabile di Francesco Totti sulla trequarti. 

I portieri delle due annate storiche

A salvaguardare la porta delle aquile una bandiera del club: Luca Marchegiani. Portiere con particolari abilità, oltre a un buon posizionamento tra i pali, ha detenuto per lungo periodo i record di rigori parati in Serie A. In un decennio di biancoceleste ha vinto tutto quello che c’era da vincere con e per il suo club, raggiungendo l’apice nel 1999 con la vittoria della Supercoppa Europea. Per i ragazzi della Roma, invece, fu Francesco Antonioli a vestire i panni di acchiappatutto rinfrancato dalla fiducia perpetua di mister Capello che di fatto lo lanciò nel giro della Nazionale ai tempi dell’under-21. 

La linea difensiva delle due corazzate

Coppia centrale di livello mondiale, quella dei ragazzi condotti da Svennis al titolo, composta dal capitano Alessandro Nesta e Siniša Mihajlović che più volte si prese la briga di andare in gol da calcio piazzato. I due garantirono sicurezza a tutto il roster risultando infine essere la seconda miglior difesa del campionato con soli 33 gol subiti. 

Gli esterni bassi, uno dei punti di forza di quell’anno, Pippo Pancaro Paolo Negro. Il primo riuscì a registrare 3 reti in 28 presenze, il secondo detiene tuttora il record di presenze nelle competizioni internazionali del club. 

La Roma scudettata, come già ribadito, preferì più volte schierare un tris di dfensori centrali che così recitava: Zebina-Samuel-Zago. Il francese col tempo si adatterà a diventare un diligente terzino destro seppur in molti lo ricorderanno per le sue zebinate. A dirigere la linea del trio, un giovane argentino arrivato dal Boca Juniors destinato a vincere tutto nel Vecchio Continente, The Wall non velocissimo ma temuto dai più grandi centravanti di sempre. E poi Zago reso celebre da uno sputo al Cholo Simeone durante un derby.

La linea mediana del nuovo millennio capitolino

Anche il derby tra Roma Lazio ha saputo regalare diversi spunti per quel che riguarda il centrocampo. La Lazio affidò la sua regia a uno dei tridenti argentini più iconici di sempre: Diego Simeone, Matias Almeyda e Juan Sebastián Verón. El Cholo è stato uno dei primi centrocampisti box to box del calcio moderno, alternando garra a gol pesantissimi come quello decisivo per il campionato. Ad agire da diga Almeyda anche lui dotato di pura foga che qualche volta lo portò a saltare qualche partita per squalifica. A completare lo spettacolare centrocampo La Brujita che spesso veniva avanzato per agire sulla trequarti. Curiosamente Verón e Simeone si ritroveranno all’Estudiantes de la Plata, con il secondo già in giacca e cravatta, e riusciranno a vincere il Campionato d’Apertura 2006 alla Bombonera. 

giallorossi invece, anche loro a tinte unite, si presentavano con 2 mediani puri: Cristiano Zanetti Damiano Tommasi. L’ex Inter cruciale in fase di non possesso, sebbene abile anche con la palla tra i piedi. Il secondo, invece, la fortuna degli allenatori, data la duttilità di cui era dotato. Fu lo stesso Capello a definirlo “atipico”. 

Le ali: vero punto di forza

I velocisti biancocelesti annoveravano due tra le più importanti figure del calcio recente. A sinistra ad agire era Pavel Nedvěd, attuale vice-presidente della JuventusPallone d’Oro 2003. Prima del tradimento, la furia ceca incantò il popolo laziale grazie alla sua naturale propensione di calciare con entrambi i piedi. Sul lato opposto, quello destro, Sérgio Conceição attuale tecnico del Porto. Meno dotato sul piano realizzativo del compagno di reparto, l’esterno portoghese passò in seguito al Parma nell’operazione che portò Hernán Crespo alla corte di Sergio Cragnotti. 

Fabio Capello avanzò il raggio d’azione di due calciatori che vennero affiancati alla linea centrale: Marcos Evangelista de Moares, al secolo Cafu, Vincent Candela. Il brasiliano garantiva qualità tecniche a palate e può essere definito l’antenato naturale di Dani Alves. Il francese, al contrario, aveva il compito di compattarsi con la retroguardia nella fase di arretramento. 

Derby tra Roma e Lazio: numeri 9 da paura

Prima di passare ai bomber della nostra lunga lista, dobbiamo fare una piccola eccezione. Francesco Totti. Banale dire che probabilmente è il miglior calciatore italiano di tutti i tempi e l’eterno capitano di una mentalità che poi si è consacrata in una società sportiva. Er Pupone è la Roma, è il ragazzino che dentro di noi sogna da piccolo di vincere il campionato con la squadra della quale è tifoso. Classe, tecnica, malcelato disprezzo per i cugini, festeggiò quel successo sfilando sul suo scooter cautamente mascherato sotto il casco. Adesso possiamo proseguire con il resto. 

Due numeri 9, ripeto, da far paura. Per la Lazio il primo Matador della nostra Serie A, Marcelo Salas. Realizzò 12 centri in 28 partite che gli valsero un posto nel cuore dei suoi tifosi. Prima di fare ritorno in patria, riuscì a vincere altre due volte il campionato con la Juventus, ma mai da protagonista. 

L’altra maglia pesante era indossata da un idolo senza tempo, da un calciatore amato da tifosi e rivali: tale Gabriel Omar Batistuta. Batigol fu il vero acquisto di quell’occasione, totalizzò 20 reti in 28 presenze di fatto indirizzando il corso di quella stagione. A spalleggiare il Re Leone, Marco Delvecchio vera spina nel fianco per i tifosi avversari tanto da essere soprannominato uomo derby. 

Altri sono i calciatori che impreziosirono queste due annate storiche per il calcio romano: da Vincenzo Montella Roberto Mancini passando per Nestor Sensini. Ma adesso è tempo di tornare ai nostri giorni gustandoci il derby tra Roma Lazio che costringerà la città a guardare i fratelli divisi nella fede.

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