La diatriba su quale sia il giusto modus operandi per impostare una squadra esiste da sempre, in questi anni però si è fatta sempre più accesa. Il dualismo tra risultati e bel gioco, tra perseguire l’obbiettivo anche a costo di esprimere un brutto calcio, o se rischiare di perdere senza però snaturare la bellezza di questo sport è sempre più presente. Abbiamo assistito a scontri titanici in questi anni, primo tra tutti Guardiola e Mourinho. Il primo è l’espressione massima del concetto di gioco del calcio, e quando è riuscito a esprimere al meglio i suoi principi ha vinto molto. Il secondo invece, ha dimostrato che scendendo a compromessi, e risultando anche “brutto”, si può vincere anche con squadre poco quotate. In Italia, negli ultimi anni, abbiamo assistito al dualismo Sarri–Allegri, dove il primo ha espresso uno dei giochi più affascinanti e divertenti con il Napoli, il secondo ha portato a casa più di qualche trofeo con la Juventus.
Risultati o bel gioco, una guerra senza vinti e vincitori
La squadra ideale è quella che vince e convince, tiene il pallino del gioco, è aggressiva e propositiva. Quello che bisogna tener conto è che non tutti i giocatori hanno le caratteristiche per giocare come vorremmo vedere. Ecco perché spesso allenatori che ci hanno abituati ad uno stile bello e vincente con altre squadre falliscono. Inoltre esistono tecnici che si adattano ai calciatori che hanno, e in base a quelli costruiscono un sistema di gioco, e altri che seguono fedelmente la loro ideologia. Cos’è dunque più giusto? Snaturare il proprio credo con lo scopo di vincere o proporre la propria idea di gioco indipendentemente dai giocatori? Probabilmente non c’è una verità univoca, ma esistono allenatori diversi con caratteristiche diverse, e la società deve tener conto di questo. La dirigenza deve preporsi di avere una chiara linea da seguire, e in base a quello scegliere a chi far dirigere lo spogliatoio.